Carne coltivata in laboratorio: uno studio mette in discussione la sostenibilità ambientale

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Continuano i lavori di ricerca che mettono in dubbio la sostenibilità ambientale relativa alla produzione di carne coltivata. Uno studio non ancora sottoposto a revisione paritaria suggerisce che la produzione su larga scala di carne coltivata da cellule animali utilizzando le tecnologie attuali potrebbe essere molto peggiore per l’ambiente rispetto alla carne bovina tradizionale.

La ricerca condotta dagli scienziati del Dipartimento di Scienze e Tecnologia dell’Università della California-Davis (UC-DAVIS) è solo l’ultima, in ordine temporale, a mettere in dubbio la “bontà” di questo novel food per il quale si richiede sempre più spesso una valutazione più accurata sia sugli effetti sulla salute umana sia sull’effettivo impatto ambientale della sua produzione. In particolare gli studiosi d’oltreoceano, in questo nuovo studio, sosterrebbero come la carne in provetta potrebbe avere un impatto ambientale fino a 25 volte peggiore rispetto alla carne tradizionale.

Il  dibattito sulla vendita è aperto ma c’è chi dice no

Nonostante, però, i diversi dubbi sollevati, la carne coltivata, oltre a destare molto interesse, continua la sua strada verso la commercializzazione. Come riportato dal portale Europa Today, la start-up israeliana Aleph Farms ha presentato richiesta alla Svizzera per avere l’autorizzazione alla vendita della propria bistecca coltivata che, se concessa, sarebbe una prima assoluta per l’Europa. 

Attualmente, la carne in vitro è già in vendita nella città stato di Singapore, mentre negli USA, nel mese di giugno 2023, la Food And Drug Administration (FDA)  e il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) hanno dato il via libera alla vendita della carne di pollo coltivata in laboratorio che ora si potrà trovare nei supermercati e nei ristoranti.

Situazione opposta in Italia, dove il Senato ha recentemente approvato il Disegno di Legge che vieta la commercializzazione, l’importazione e la produzione di cibo sintetico in Italia (DDL 651). Come si legge nell’articolo pubblicato sul portale Carni Sostenibili “Approvato il divieto di carni artificiali e meat sounding” nel testo viene fatto anche specifico divieto di  usare denominazioni tipiche della carne e suoi derivati per definire i prodotti trasformati di finta carne di origine vegetale. Una decisione alla quale ha dato il suo contributo il documento “Carne artificiale, salute e ambiente: cosa sappiamo e cosa non sappiamo” scritto da Giuseppe Pulina, professore ordinario di Etica e Sostenibilità degli Allevamenti, nel quale vengono affrontate le questioni sulla sicurezza alimentare e gli impatti ambientali delle carni artificiali, sulla base degli studi scientifici più recenti.

Ma quali sono nello specifico i risultati dello studio californiano che mettono in discussione la sostenibilità della carne coltivata?

L’impronta ambientale della carne in provetta

Lo studio “Environmental impacts of cultured meat: A cradle-to-gate life cycle assessment” , disponibile sulla piattaforma BioRxiv,  solleva dubbi sul fatto che tale alimento sia veramente ecofriendly. Gli scienziati del Dipartimento di Scienze e Tecnologia dell’Università della California-Davis sostengono infatti che le precedenti analisi – dalle quali si evince un impatto ambientale  minore di questo alimento rispetto alla carne tradizionale – siano imprecise  basandosi su tecnologie e processi non ancora utilizzati su larga scala o addirittura – si legge nel documento – irrealistici.

Lo studio della UC Davis si focalizza invece sulle tecnologie attualmente utilizzate per produrre carne coltivata, confrontandone il consumo energetico con quello richiesto dalla filiera tradizionale.

In particolare, i ricercatori si sono concentrati sul processo di purificazione, individuato come uno dei principali fattori che influenza l’impronta ambientale della produzione della carne in vitro. Per consentire la crescita delle cellule nei bioreattori è infatti indispensabile rimuovere dal terreno di coltura tutte le endotossine che vengono rilasciate dai batteri nell’ambiente perché anche piccolissime quantità di queste sostanze inibirebbero la proliferazione cellulare. Come si legge nella ricerca “Nelle colture cellulari la presenza di endotossine può avere un’ampia varietà di effetti. Per esempio, a una concentrazione di endotossina di appena 1 ng/ml, i tassi di successo della gravidanza si riducono di 3-4 volte durante la fecondazione in vitro di embrioni umani”.

Il problema è che le tecniche di purificazione oggi utilizzate hanno un elevato consumo energetico e conseguente alte emissioni di CO2. Si tratta però di una fase del processo produttivo fondamentale dalla quale non si può prescindere e che, come si legge nell’articolo “Carne sintetica? Impatta fino a 50 volte di più”, si renderebbe ancor più necessaria nel passaggio da colture cellulari di piccola entità, quali quelle attualmente in essere, a reattori di grandi dimensioni previsti per la produzione in scala industriale della carne artificiale. 

L’impatto climatico della carne coltivata è stato sottovalutato? Sì

Secondo i ricercatori, supponendo l’uso continuato di substrati di coltivazione altamente raffinati, ogni chilogrammo di carne coltivata produrrebbe tra 246 e 1.508 chilogrammi di emissioni di anidride carbonica.  Sulla base di questi dati, gli autori calcolano che il potenziale di riscaldamento globale della carne coltivata è tra quattro e 25 volte maggiore di quello della carne bovina al dettaglio. Gran parte di questo impatto è determinato dalla necessità di energia – e oggi a livello mondiale la gran parte viene da combustibili fossili – per purificare i componenti del mezzo di crescita, che secondo gli autori dello studio è da tre a 17 volte superiore alla quantità utilizzata per produrre carne bovina disossata. 

Lo studio americano mette quindi  in luce come sia fondamentale approfondire gli aspetti legati all’impatto ambientale della carne sintetica rispetto ai sistemi di produzione tradizionali ovvero gli allevamenti. Una conclusione rilevante, dato che gli  investimenti per questo settore, come stimato dai ricercatori, avrebbero raggiunto un totale di oltre 2 miliardi di dollari proprio in virtù dei suoi presunti benefici ecologici.