Trasformazione sostenibile: a che punto siamo e cosa serve per accelerare?

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Qual è la formula perché la trasformazione sostenibile accada davvero? Quali sono gli ambiti ai quali viene prestata maggiore attenzione? Chi dovrebbe occuparsene all’interno delle aziende? Quali sono gli ostacoli più comuni per coloro che avviano un progetto di sostenibilità e quali i benefici riscontrati? Queste sono parte delle domande di una recente indagine promossa da U-Earth Biotech, azienda che sviluppa soluzioni biotech professionali per la purificazione dell’aria, con lo scopo di approdare a un quadro più completo sullo stato dell’arte della trasformazione sostenibile. Il panel* è formato da figure professionali direttamente coinvolte nei progetti di sostenibilità: il 13,6% degli attori è rappresentato da CEO, il 33,7% da ruoli specializzati come Head of Sustainability e i Sustainability Specialist, oltre il 50% ha invece funzioni limitrofe come i marketing manager o i responsabili delle risorse umane.

Tematiche affrontate: qualità dell’aria ed emissioni al primo posto, biodiversità fanalino di coda

Tra tutti i progetti intrapresi dalle aziende intervistate il 25,6% ha deciso di sviluppare iniziative legate al tema della gestione della qualità dell’aria e delle emissioni con la maggior parte degli sforzi dedicati a programmi “net zero” orientati a ridurre le emissioni a medio lungo termine. La riduzione del biossido di carbonio (78,2%) la fa da padrona. Qualcuno, ma pochi, adottano anche politiche a breve per il miglioramento della qualità dell’aria. Il 30,1% si affida principalmente ad energie pulite. Seguono le politiche volte a limitare le emissioni dai trasporti (smart working, 23,3%, e promozione dei trasporti pubblici, 19,9%). Solo il 10,6% degli intervistati investe in purificazione dell’aria. E chi non ci riesce (il 5,5%) compensa con crediti di carbonio. Il 13,5% dei progetti invece è dedicato alla gestione delle risorse idriche e dei rifiuti e a quelli per la riduzione della plastica. Il 9,8% si è addentrato in iniziative più strutturate, concentrando gli investimenti in veri e propri Piani per la sostenibilità, categoria che include una serie di adeguamenti per rendersi conformi a specifiche indicazioni regolatorie in determinati settori. Interessante il risultato ottenuto dai progetti a sfondo sociale e quelli sulla diversità e l’inclusione ai quali più del 8% delle aziende intervistate si è focalizzato. L’attenzione per l’economia circolare coinvolge l’8,4% dei progetti, mentre l’efficienza energetica, intesa sia come risparmio economico che come riduzione dell’inquinamento è presente nel 7,4% delle iniziative. Delle azioni promosse la biodiversità (1,9%) ha catturato decisamente meno interesse pur costituendo la quarta peggior minaccia dei prossimi 10 anni secondo il World Economy Forum; ma questo è probabilmente riconducibile al core business delle organizzazioni che hanno partecipato al progetto.

Quali complessità affrontano le aziende quando intraprendono un progetto di sostenibilità?

Oltre un quinto delle aziende intervistate sostiene che il primo grande ostacolo nello sviluppo di progetti di sostenibilità sia legato all’aspetto economico, ossia la mancanza di denari. Lavorare in modo più sostenibile implica una trasformazione nei modelli organizzativi, un ripensamento delle infrastrutture e dei processi e tutto ciò richiede degli investimenti. Il fattore “soldo” non è tuttavia l’unica barriera percepita, infatti, quasi a pari merito, gli intervistati attribuiscono alla “mancanza di una visione orientata alla sostenibilità” una delle cause principali di rallentamento. Quindi spesso la scarsità del budget è un alibi. Infatti, un altro impedimento rilevato è quello che riguarda la figura professionale che dovrebbe farsi carico dello sviluppo dei progetti. Che ruolo e responsabilità dovrebbe avere? Quali sono le corrette competenze? È evidente la complessità della materia che di certo non è d’aiuto. Ciò che è chiaro per gli intervistati è che chi guida il processo di trasformazione verso la sostenibilità deve avere il potere per farlo ponendo figure di vertice come il CEO (27,3%) o di un Head of Sustainability (21,8%) in un ruolo strategico per il cambiamento. Il 16,4% si è mostrato invece a favore di una governance allargata da attribuire ad un organo collegiale, un board formato da un insieme di stakeholder.

Quali sono le capacità fondamentali e come muovere i primi passi verso la trasformazione sostenibile

Dall’indagine emerge che colui che diventa leader della trasformazione sostenibile dovrebbe avere delle caratteristiche o abilità specifiche. Quasi un quarto degli intervistati sostiene che il pensiero strategico è un alleato fondamentale, seguito dalla capacità di visione, unita a quella di saper guardare oltre, cioè al futuro. Nell’esecuzione dei progetti, invece, i professionisti intervistati attribuiscono un peso importante (26,7%) all’insieme delle conoscenze tecniche e delle competenze applicative. Per gli intervistati bisogna dunque partire dalla conoscenza, ma anche dalla cultura (25,5%), tanto che per esempio il 7% di chi ha risposto alle domande suggerisce progetti proprio volti alla realizzazione e sviluppo di una cultura aziendale orientata alla sostenibilità sia all’interno dell’organizzazione ma anche estesa all’esterno, a partner e fornitori. Parimenti il 25,5% delle risposte evidenzia come il secondo passo dovrebbe essere quello di creare una strategia organica ad hoc e di lungo respiro. La sostenibilità non può essere affrontata in modo occasionale e affidata alle circostanze contingenti. Al contrario, va strutturata con criterio. A partire dall’analisi, passando per la definizione di obiettivi, azioni mirate, responsabilità, fino alla valutazione dei risultati. Ogni passo deve essere accuratamente pianificato e monitorato.  Infine, il cuore: la passione per queste tematiche gioca un ruolo primario, combinata alla resistenza, fanno sì che non ci si scoraggi di fronte alle numerose difficoltà e si trovino le energie per raggiungere i traguardi prefissati.

Fonte: comunicato stampa