Un mare mette in pericolo le spiagge italiane: non si tratta, però, di acqua salata, bensì di plastica

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Questo è l’allarme emerso nel corso del workshop “Marine litter: da emergenza ambientale a potenziale risorsa” organizzato, nei giorni scorsi, dall’ENEA in collaborazione con Accademia dei Lincei e Forum Plinianum.

Oltre l’80% dei rifiuti raccolti sulle spiagge italiane è, infatti, composto da materiali plastici che minacciano la salute dell’ambiente e dell’uomo. In particolare i frammenti derivanti dalla degradazione della plastica (le c.d. microplastiche) avendo dimensioni inferiori a 5mm, non riescono ad essere fermate dagli impianti di depurazione delle acque reflue e quindi si “spiaggiano” costituendo il 46% degli oggetti rinvenuti negli arenili italiani. Dagli studi effettuati risulta che, a causa di un solo lavaggio con la lavatrice, vengono scaricate in mare oltre 700mila microfibre di plastica e, ogni giorno, per l’utilizzo di cosmetici, nei mari europei vengono riversate 24 tonnellate di microplastica.

Una ricerca dell’UNEP (United Nations Environment Programme) ha evidenziato che l’impatto economico ricollegabile ai rifiuti nei mari è stimabile in 8 miliardi di euro l’anno mentre i costi ricollegabili alla spesa europea per la pulizia annuale delle spiagge sono pari a circa 412 milioni di euro.

Il mare, ovviamente, non costituisce la destinazione finale delle microplastiche. Gli studiosi hanno infatti rinvenuto tali materiali nel fegato di spigole e persino nel sale da cucina: è quindi evidente che sussiste seriamente il rischio che tali inquinanti entrino nella catena alimentare fino a “tornare” all’uomo.

Le ricerche condotte dall’ENEA hanno evidenziato, peraltro, che la maggior parte delle microplastiche è costituita da polimeri riciclabili in nuovi oggetti commercializzabili, trasformandosi, da rifiuto, in risorsa economica.

I materiali polimerici, comunemente detti plastiche, costituiscono la maggior parte degli oggetti che quotidianamente utilizziamo. Tuttavia l’inquinamento da plastiche non è dovuto esclusivamente all’estrema resistenza dei polimeri ma al modo in cui è gestito il loro ciclo di vita”, precisa Loris Pietrelli ricercatore del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali dell’ENEA. “È una questione che coinvolge tutte le fasi dalla produzione dei materiali, allo sviluppo degli oggetti, fino al loro utilizzo e smaltimento, comprendendo usi e costumi della nostra società. Non è più accettabile che si utilizzino alcuni oggetti per il solo tempo necessario a bere una bevanda”, conclude Pietrelli.

ARTICOLO DI LETIZIA PALMISANO GIORNALISTA AMBIENTALE